I promessi sposi di Alessandro Manzoni: trama e analisi dell’opera

I promessi sposi di Alessandro Manzoni: trama e analisi dell'opera

I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni sono una delle più celebri opere del nostro panorama letterario. Comprendiamo la trama ed eseguiamo un’ analisi dell’opera.

Alessandro Manzoni, nel corso dell’Ottocento, scrive I promessi sposi, una “storia milanese del secolo XVII”, il primo e più importante romanzo storico italiano.

L’autore finge di aver scoperto un manoscritto seicentesco, realizzato da un anonimo autore, nel quale viene narrata una storia così interessante da volerla trascrivere per raccontarla, in linguaggio moderno, ai propri contemporanei. Manzoni realizza così i suoi “I Promessi Sposi“, basandosi su una rigorosa ricerca storica e gli eventi narrati si fondano su documenti d’archivio e cronache dell’epoca.

I promessi sposi di Alessandro Manzoni viene considerato:

  • una tappa fondamentale nella nascita stessa della lingua italiana,
  • l’opera più rappresentativa del romanticismo italiano,
  • una delle più importanti opere della letteratura italiana per la profondità dei temi affrontati.

Breve trama dell’opera

Capitoli 1 – 8

La vicenda inizia la sera del 7 novembre 1628, quando don Abbondio, parroco di un paesino posto sulle colline vicino al lago di Como, viene minacciato da due bravi che gli proibiscono di celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia, che sarebbe stato celebrato la mattina successiva.

I due malviventi eseguono gli ordini del prepotente don Rodrigo, il signorotto locale che esercita il suo potere con tracotanza e violenza e che si è invaghito di Lucia.

La giovane e timida Lucia Mondella è una popolana, lavora alla filanda ed è promessa sposa di Renzo Tramaglino. Don Rodrigo vuole impedire il matrimonio dei due dopo aver scommesso con suo cugino, il Conte Attilio, che sarebbe riuscito a far sua la ragazza.

Don Abbondio è il curato del paese, un uomo pavido che, terrorizzato, rinvia il matrimonio. I due giovani allora si attivano per cercare di risolvere la questione e celebrare comunque il loro matrimonio; ma tutti i tentativi falliscono miseramente. Prima Renzo si rivolge all’avvocato Azzecca-garbugli, ma il ricorso alla legge risulta vano in quanto l’avvocato è uno dei fidati uomini di don Rodrigo. Poi Lucia chiede aiuto al padre Cristoforo, un ardito frate cappuccino paladino della povera gente, ma anche i suoi tentativi si rivelano vani.

Con la complicità di Agnese, la madre di Lucia, i due giovani tentano anche di forzare la mano al curato; organizzano un matrimonio a sorpresa, che fallisce. A quel punto, per sfuggire al tentativo di rapimento ordito da don Rodrigo i due giovani sono costretti a scappare e a separarsi.

Capitoli 9 -26

Lucia finisce in un convento a Monza, affidata alla “Signora” una monaca di origini nobili che, su richiesta del suo amante, lascerà che la giovane venga rapita dai bravi dell’Innominato.

Renzo arriva a Milano in giorni di sollevazioni popolari. Il giovane, ingenuo, si lascia travolgere dagli eventi e viene coinvolto nei disordini, tanto da rischiare di finire sulla forca. Quindi è costretto a fuggire e si rifugia, sotto falso nome, presso un cugino, che vive nel bergamasco.

L’innominato è uno dei più famosi e terribili malviventi dell’epoca; da tempo però è tormentato ed è in preda a crisi di coscienza. Dopo aver rapito Lucia per conto di don Rodrigo, dopo averle parlato, colpito dalle parole di lei, si pente. Così decide di rivolgersi al cardinal Federigo Borromeo. Da quell’incontro la vita dell’Innominato cambia: egli si converte e decide di vivere onestamente al servizio del prossimo gli ultimi anni della sua vita.

Capitoli 27 – 38

La vicenda narrata si svolge durante la Guerra dei Trent’anni, un conflitto che vede coinvolti molti stati europei. Nel 1630 le truppe imperiali dei Lanzichenecchi scendono in Italia. La calata di questi mercenari si rivela una piaga per tutto il popolo, che è costretto a fuggire per evitare le violenze che gli eserciti perpetrano sulle popolazioni. In quell’occasione il castello dell’Innominato diventa un rifugio per molti abitanti della zona, compresi Agnese, Perpetua e don Abbondio.

Ma il passaggio dei Lanzichenecchi procura alle popolazioni una piaga ancora peggiore: la peste. L’epidemia arriva violenta, i governanti non sanno gestire bene la situazione e il morbo esplode in tutta la sua virulenza, mietendo migliaia di vite umane.

Guarito dalla peste Renzo si mette in cerca di Lucia. La trova convalescente al lazzaretto, la struttura dove vengono portati gli appestati. Renzo incontra lì anche Fra Cristoforo e don Rodrigo, che è in punto di morte. Solo dopo che Renzo sarà riuscito a perdonare, non senza difficoltà e resistenze, il suo nemico, il giovane ritrova Lucia.

Ma la ragazza, nella notte trascorsa nel palazzo dell’Innominato aveva fatto voti di castità alla Madonna in cambio della salvezza. Così solo dopo che fra Cristoforo avrà sciolto il voto di Lucia, i due potranno finalmente sposarsi.

Temi e significato

L’opera di Alessandro Manzoni è molto importante per diversi motivi:

  • la scelta di porre gli umili come protagonisti,
  • la concezione manzoniana della storia,
  • la Provvidenza, vera protagonista de I Promessi Sposi,
  • il rapporto tra verità e verosimiglianza,
  • il romanzo storico.

Per la prima volta nella storia della letteratura italiana i protagonisti sono gli umili. Renzo e Lucia sono due popolani che vengono travolti dai maneggi dei potenti, di cui subiscono intrighi e prevaricazioni. Ai due giovani e alle persone della loro classe sociale viene affidato il compito di testimoniare i veri valori cristiani.

Nonostante le angherie della sorte e le prepotenze di chi detiene il potere, la vicenda si conclude con un lieto fine: i due giovani riescono a superare tutti gli ostacoli posti sul loro cammino e a sposarsi sotto gli occhi benevoli di Agnese, con la benedizione di don Abbondio.

Secondo Alessandro Manzoni, la storia è la sede del male; infatti la vita di ognuno è costellata di momenti bui, mentre la rara felicità non solo è transitoria, ma è anche frutto di molto dolore, causato spesso dalle ingiustizie. Educato ai valori illuministi, Manzoni è molto sensibile al tema della giustizia: egli ritiene che l’aspirazione ad una maggior equità sociale sia legittima, ma è anche convinto che la rivolta violenta non sia mai giustificabile.

L’autore quindi affronta tale tematica solo in un’ottica individuale e religiosa: ritiene che solo i valori cristiani e la Chiesa, che li diffonde e li testimonia, siano le uniche istanze capaci di moderare gli egoismi individuali e di arginare la rapacità dei ceti dirigenti che perseguitano gli umili.

Nella visione manzoniana, ben lontana dal pensiero socialista, neppure il “popolo”, che lui definisce “marmaglia”, sarebbe in grado di costituire un’alternativa valida al malgoverno. Manzoni infatti ritiene che l’azione dell’uomo sia sempre mossa dall’egoismo e dalla tendenza alla sopraffazione: per quanto possa essere “illuminata”, l’umanità, secondo Manzoni, non sarà mai capace di superare il suo individualismo e la sua innata prepotenza.

Profondamente permeato dal pensiero cattolico, ne I Promessi Sposi egli ritiene che, dal momento che il male nella storia è innegabile, la vera giustizia non potrà mai realizzarsi nel mondo. Solo in alcuni casi però, quando gli uomini agiscono rettamente e nel rispetto umile del volere di Dio, può arrivare dal cielo la sapiente mano della Provvidenza che è in grado di rendere giustizia agli uomini.

La Provvidenza è una forza divina che entra nella storia in maniera misteriosa e imprevedibile: una forza che muove i fili nel teatro dell’umanità; proprio per questo si ritiene che sia proprio la Provvidenza la vera protagonista de I promessi sposi. Infatti, quando le azioni dei personaggi si discostano dal disegno divino, queste si rivelano inefficaci (come il matrimonio a sorpresa). Quando invece la situazione sembra volgere in tragedia, ecco che il bene può arrivare inaspettato, veicolato proprio dai personaggi negativi (si pensi all’inattesa conversione dell’Innominato).

Manzoni colloca la vicenda di Renzo e Lucia in un dettagliato affresco del Seicento. La vicenda dei due popolani è naturalmente inventata, come sono concepiti dalla fantasia di Manzoni i personaggi che ruotano intorno alle loro vite come Agnese, don Abbondio o don Rodrigo. Ma la monaca di Monza, fra Cristoforo, l’Innominato o il Cardinale Federigo Borromeo sono personaggi realmente esistiti, su cui l’autore ha fatto accurate ricerche storiografiche.

I Promessi Sposi sono, quindi, un romanzo storico in cui l’autore ha ricostruito in maniera verosimile una vicenda inserita in un contesto storico delineato seguendo i canoni della verità e con grande attenzione storiografica. E come la vicenda dei protagonisti è verosimile, anche il lieto fine rispetta i criteri di verosimiglianza storica.

All’epoca di Manzoni pochi erano i modelli di romanzo storico a cui il poeta può attingere, come il Candido di Voltaire o l’ Ivanohe di Walter Scott. In entrambi i casi gli autori avevano narrato vicende con fantasia e creatività, ma avevano rispettato poco la verità storica. Alessandro Manzoni invece che non ama i colpi di scena emozionanti e inverosimili e che vuole essere fedele alla realtà storica, prima di scrivere, compie un’accurata ricerca storica.

Ma per quale motivo sceglie di ambientare i suoi  I Promessi Sposi proprio nel Seicento? Lo fa per due ordini di motivi.

  • Il XVII secolo è un’epoca caratterizzata dal dominio dell’irrazionalità e dell’oppressione o segnata da eventi devastanti come la calata dei Lanzichenecchi e la peste. In questa difficile situazione gli uomini del Seicento reagiscono agli eventi con modalità opposte: ci fu chi si abbandonò ai peggiori delitti e di chi invece manifestò straordinarie virtù. Per questo l’autore ritiene che quello fosse il secolo giusto per dimostrare quanto il contesto di vita potesse condizionare comportamento umano, senza però determinarlo.
  • Nel Seicento la Lombardia è dominata dalla Spagna e i governatori spagnoli gestiscono il potere con arroganza e arbitrarietà. Nell’Ottocento, nell’epoca di Manzoni, la Lombardia è ancora oppressa da una dominazione straniera: non sono più gli spagnoli ma gli austriaci. Il potere di Vienna è prepotente e reprime con forza le legittime aspirazioni italiane all’indipendenza nazionale. Manzoni, che vuole raccontare le prepotenze e le ingiustizie perpetrate dal governo austriaco, per non venire censurato, decide di narrare le angherie del governo spagnolo facendo un riferimento indiretto, ma ben riconoscibile, agli oppressori del suo tempo.

La composizione de I Promessi Sposi richiede a Manzoni un lavoro lungo che lo impegna per più di un ventennio.

  • Fra il 1821 e il 1823 compone la prima redazione, in quattro volumi, battezzata Fermo e Lucia.
  • Nel 1824, dopo una profonda revisione, esce il primo volume della nuova edizione con il titolo Gli sposi promessi; nel 1825 il secondo volume con il nuovo titolo de I Promessi sposi; il terzo e ultimo volume viene stampato nel 1827.
  • Manzoni vuole che i suoi I Promessi Sposi abbia ampia diffusione in Italia, è di italiani per italiani. Deve quindi dare alla sua opera una veste linguistica che possa essere compresa da tutti gli italiani alfabetizzati, un pubblico molto più ampio di quello a cui solitamente erano destinati i testi letterari. Lui desidera come suoi destinatari i cristiani di tutte le classi sociali, dal momento che il suo romanzo ha carattere profondamente cristiano e democratico. Inizia così un lungo lavoro di revisione linguistica e decide di prendere a modello la lingua parlata dai fiorentini colti. Dopo essersi trasferito a Firenze per “sciacquare i panni in Arno”, pubblica a dispense fra il 1840 e il 1842 l’edizione definitiva. Questa versione definitiva, accompagnata da numerose illustrazioni, è seguita dalla Storia della colonna infame; un trattato sulla peste del Seicento.

Ma da dove gli viene l’idea de I Promessi Sposi? Lo racconta l’autore stesso in una lettera al figliastro Stefano Stampa.

“Sai che cos’è stato che mi diede l’idea di fare I Promessi Sposi?
È stata quella grida che mi venne sotto gli occhi per combinazione, e che faccio leggere, appunto, dal dottor Azzecca-garbugli a Renzo dove si trovano, tra l’altro, quelle penali contro chi minaccia un parroco perché non faccia un matrimonio.
E pensai, questo sarebbe un buon soggetto per farne un romanzo (un matrimonio contrastato), e per finale grandioso la peste che aggiusta ogni cosa!”

Un romanzo attuale da leggere o da ascoltare
Con i personaggi de I promessi sposi farai un viaggio nel tempo istruttivo, divertente, intrigante

Perché leggere I promessi sposi

Il programma ministeriale di letteratura italiana prevede che, in seconda o in quarta superiore, si affronti lo studio del capolavoro manzoniano. C’è solo un altro autore sul quale i programmi sono prescrittivi: Dante Alighieri. Il motivo per cui non si può transigere su questi due autori è legato al fatto che le loro opere costituiscono due delle tre tappe dell’unificazione della lingua italiana.

  1. Dante nel Trecento realizza la Divina Commedia nella nuova lingua della penisola italica, il volgare italiano, e pone le basi della lingua italiana.
  2. Manzoni nell’Ottocento fa un’operazione di limatura e pulizia della lingua, a partire dal toscano, e offre agli italiani una lingua scritta accessibile da Nord a Sud.
  3. La terza tappa di tale processo non è legata alla letteratura, ma alla nascita della televisione, che porta in tutte le case un modello linguistico comune.

Ma questo è solo il primo dei motivi per cui val la pena oggi leggere I promessi sposi, ed è quello meno interessante.

Gli altri sono:

  • i personaggi manzoniani parlano di noi,
  • l’evoluzione delle situazioni negative in positive,
  • i comportamenti umani di fronte a un’epidemia
  • l’architettura dell’opera,
  • la teatralità del romanzo.

I personaggi de I promessi sposi delineano alcune caratteristiche umane che possiamo individuare in noi stessi o nelle persone che camminano al nostro fianco.

Renzo è un filatore di seta, un uomo semplice, molto bravo nel suo lavoro, apprezzato nel suo ambiente. Ma è una testa calda, impulsivo e irruente. Tanto quanto si trova a suo agio nel suo ambiente, altrettanto dimostra la sua inadeguatezza quando entra in contatto con una realtà nuova, quella dei tumulti a Milano. Qui il giovane si lascia travolgere dagli eventi e rischia addirittura la pelle.

Quante volte è accaduto anche a noi di trovarci in un contesto nuovo e mostrare tutta la nostra inadeguatezza? Cosa dobbiamo fare in questo caso?

Ci aiuta Renzo: lui impara! Si mette umilmente in ascolto e impara: non replica i suoi errori e in questo modo riesce a sfuggire all’ingiusta condanna e ha salva la vita.

Don Abbondio invece è un uomo di scarso spessore umano, vile e opportunista, che si mette al servizio dei forti a scapito dei deboli che dovrebbe invece difendere e proteggere. Non si mette mai in discussione, è così “piccolo” che non riesce a guardare al di là del suo orticello. Eppure anche lui, quando il pericolo è svanito, riesce ad agire per il bene dei due sposi promessi. Quante volte è capitato anche a noi essere piccoli, di perderci nelle spire delle nostre vigliaccherie.

Ma anche per un altro motivo è importante leggere questo romanzo. La storia ci mostra infatti che anche dal male, dalle situazioni più negative può derivare il bene. Pensiamo alla terribile figura dell’Innominato. Prima della conversione, questi atterriva chiunque: si pensi che anche Don Rodrigo aveva timore di lui. Quando imbocca la via della conversione l’Innominato porta il bene non sono nella vita di Lucia ma anche di tanti loro concittadini. Infatti durante la calata dei Lanzichenecchi il suo castello viene aperto a tutti coloro che cercano di fuggire dalla violenza dei soldati. Insomma, per dirla con le parole di De André “ dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”.

Un altro insegnamento che possiamo fare nostro è quello di non giudicare. A proposito della monaca di Monza, personaggio realmente esistito, l’autore racconta la sua storia. La donna che si è macchiata di una terribile colpa, era stata plagiata durante tutta la sua infanzia e la giovinezza ed era stata obbligata a fare delle scelte, suo malgrado. Manzoni, con la sua narrazione ci induce a giudicare l’atto compiuto, ma non la persona che lo ha agito.

In diversi episodi Manzoni ci mostra il comportamento delle folle e ci fa notare come sia facile influenzare la massa e come, per la folla, sia facile lasciarsi influenzare. L’autore mette in luce quale potere abbia una moltitudine nel far cambiare le idee di una persona e portarla verso estremismi. Quante volte, anche oggi le folle si lasciano travolgere senza razionalità da entusiasmi che si rivelano pericolosi?

In questo periodo storico, in cui l’umanità è scossa da una pandemia, il racconto della peste è particolarmente attuale. Manzoni ci racconta di quante idee poco scientifiche siano state diffuse grazie all’ignoranza. Anche oggi, a distanza di secoli assistiamo ancora al dilagare di pensieri senza fondamenti scientifici, ma che acquistano subito credibilità grazie all’ignoranza delle folle.

Manzoni non aveva vissuto in prima persona l’epidemia, ma aveva letto molti documenti che parlavano dell’epidemia di peste del Seicento. Egli descrive la follia dilagante, la psicosi che attanagliava le persone, le assurde teorie relative all’origine della malattia e ai rimedi trovati.

Inquietante è la scena in cui uno straniero sfiora un muro del duomo di Milano e viene linciato dalla folla perché accusato di essere in untore. Anche Renzo rischia di fare la stessa fine, ma si salva grazie all’aiuto dei terribili monatti. Quello che ci racconta Manzoni è il filo sottile che separa umanità e disumanità: la paura spacca i legami familiari, mette gli uni contro gli altri in una disumanizzazione crescente.

La via d’uscita dal male indicata da Manzoni è quella della fede e della cultura. Anche Boccaccio, che aveva invece vissuto in prima persona la peste, che aveva perso molte persone care tra cui il padre, mostra altre vie d’uscita come la bellezza, l’amore e l’etica, raccontate nel suo Decameron. In queste indicazioni ognuno di noi può prendere ispirazione per scoprire la strada che ci permetta di ritrovare noi stessi al di là delle paure.

I promessi sposi hanno pagine che sono strutturate in maniera davvero scenografica, l’architettura con cui l’autore ha costruito l’intreccio di alcune vicende è straordinaria. Nella notte degli intrighi, ad esempio, Renzo e Lucia cercano di sposarsi con l’inganno, con la complicità di Agnese che distrae Perpetua, fra Cristoforo cerca di salvare la giovane che, nel frattempo, Don Rodrigo cerca di rapire: la suspence e il divertimento sono assicurati.

Ma un altro aspetto è straordinario: Manzoni parla di molti personaggi, intreccia molte vicende, apre molte finestre e … le chiude tutte. Nulla rimane sospeso, nessun dubbio aperto, nessuna questione resta irrisolta e non ci sono buchi di trama. Quando avrete letto l’ultima riga sarete soddisfatti e appagati!

Alcune pagine de I promessi sposi sono orchestrate in modo teatrale: le conversazioni tra don Abbondio e Perpetua, o quella tra Renzo e l’avvocato Azzecca-garbugli, i vari dialoghi in cui è coinvolta Agnese, la scena in cui Perpetua strappa la confessione a Don Abbondio, sono solo alcune delle pagine davvero divertenti che si incontrano nella lettura de I promessi sposi.

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