La Divina Commedia di Dante Alighieri

Dante e il suo viaggio nell'oltretomba

La Divina Commedia di Dante Alighieri è l’opera più famosa della tradizione letteraria italiana. È stata scritta tra il 1304 e il 1321 da Dante Alighieri, il più autorevole dei letterati italiani, colui che ha posto le basi della moderna lingua italiana.

L’opera però non è famosa solo in Italia, ma in tutto il mondo perché testimonia la vita, le idee, i sogni e i pensieri degli abitanti del Basso Medioevo.

La Commedia è un poema allegorico-didascalico scritto in lingua volgare.

  • Il termine allegorico fa riferimento al fatto che il poema può essere letto a due livelli :
    • letterale: il viaggio compiuto dall’autore nei regni dell’oltretomba;
    • allegorico: il cammino compiuto da Dante rappresenta il percorso che porta l’uomo Dante da una condizione di peccato, alla beatitudine, attraverso la purificazione dei suoi peccati.
  • Il termine didascalico fa riferimento al fatto che lo scopo del poema è anche quello di mostrare qualcosa al lettore, di educarlo per portarlo verso un perfezionamento morale.

La Divina Commedia è composta da più di 14 mila endecasillabi, legati tra loro in terzine, in rima incatenata.

Il titolo originale era “Comedìa” cioè opera che ha un inizio tragico che evolve verso un lieto fine. L’aggettivo “divina” non è stato scelto da Dante, ma viene attribuito a Giovanni Boccaccio, il primo commentatore autorevole della Commedia: sembra che abbia aggiunto l’aggettivo “Divina” per rispetto al contenuto dell’opera.

Il poeta racconta di aver compiuto un viaggio nei tre regni dell’oltretomba, tra il 7 e il 14 aprile del 1300, in corrispondenza della Pasqua che quell’anno cadeva il 10 aprile.

Dante inizia a scrivere il poema intorno al 1304:

  • l’Inferno viene pubblicato nel 1314 a Verona,
  • nel 1315 Dante rende pubblico il Purgatorio,
  • il Paradiso invece viene reso pubblico dopo la morte del poeta, dai suoi figli.

La scansione temporale del viaggio prevede che Dante trascorra una notte e un giorno nelle prime tappe:

  • nella Selva Oscura,
  • nell’Inferno,
  • nella salita verso il Purgatorio.

Rimane poi tre notti e tre giorni in Purgatorio e nuovamente un giorno e mezzo in Paradiso.

Dante Alighieri elabora la sua opera con uno stile vario. In generale il poeta utilizza uno stile medio, ma sono frequenti gli spostamenti verso l’alto, cioè verso lo stile tragico o sublime, ma anche verso il basso, a seconda delle circostanze.

Troviamo un esempio di stile basso nel gesto di Barbariccia, uno dei diavoli di Malebolge. Il demone manda un segnale alla sua diabolica compagnia, alla fine del ventunesimo canto dell’Inferno e Dante così lo racconta: “ed elli avea del cul fatto trombetta ”.

Nelle parole di Francesca da Rimini lo stile dantesco si eleva. Quando narra le vicende dell’amore con Paolo Malatesta vi sono i celebri versi che iniziano con la parola Amor:

  • “Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende”
  • “Amor ch’a nullo amato amar perdona”
  • Amor condusse noi ad una morte 

Il Paradiso è ricco di espressioni in stile elevato come l’invocazione alla Vergine in cui Dante indica la nobiltà di Maria, la Madonna.

  • “tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura ” (Trad. tu sei colei che ha nobilitato tanto la natura dell’uomo che il suo creatore ha scelto di farsi sua creatura).

Curiosamente tutte tre le cantiche terminano con la parola stelle.

  • “E uscimmo a riveder le stelle.” – Inferno
  • “puro e disposto a salire a le stelle.” – Purgatorio
  • “Amor che move ‘l sol e l’altre stelle.”– Paradiso

Ovviamente non si tratta di un caso.

Dante è un uomo che ha alti desideri e vuole che anche noi prendiamo contatto con i nostri. La parola “desiderio” viene dal latino “de sidera” cioè dalle stelle. I desideri ci portano a tendere verso l’alto e Dante ritiene che lo spirito dell’uomo non solo abbia bisogno di elevarsi, ma se lo meriti pure!

Quindi mantiene alta l’asticella, vuole che anche noi non dimentichiamo i nostri desideri, e puntiamo sempre alle stelle.

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La lingua che Dante Alighieri usa per realizzare la Divina Commedia non è solo il fiorentino, la sua lingua madre. Infatti egli vi mescola forme linguistiche che provengono dal:

  • nord della penisola,
  • francese,
  • latino.

Ma il poeta non si limita a utilizzare le parole che ritiene più adatte, egli inventa anche una serie di espressioni, dei neologismi, che sono poi entrate oggi nel linguaggio comune. Eccone alcuni esempi celebri:

  • mi fa tremare le vene ei polsi”
  • “considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e canoscenza”
  • “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”

Oltre a moltissimi celebri versi ci sono anche parole che sono entrate nell’uso comune come

  • “ quisquilia ” che deriva dal latino e significa inezia
  • l’aggettivo “fertile” che deriva dal verbo latino “fero” che significa “portare” e fa riferimento alla capacità di un terreno di portare frutto.

Parlando della Divina Commedia di Dante Alighieri non si può non parlare di figure retoriche.

Dal momento che l’argomento è abbastanza spinoso, mi limito a citare la scelta retorica, forse più frequente, ma certamente più evidente, che Dante compie.

Mi riferisco al fatto che Dante usa spesso le similitudini, cioè dei paragoni, per aiutare meglio il lettore a capire quanto ci sta raccontando.

Spesso fa uso di similitudini per farci comprender e il suo stato d’animo come quando è appena uscito dalla Selva oscura: qui paragona il suo sentire a quello di un naufrago sopravvissuto al mare in tempesta (Inferno, I, 22-27 ).

A volte invece vi ricorre per far immaginare ai lettori ciò che ha visto. Ad esempio nel canto di Ulisse, Dante vede la bolgia invasa da migliaia di fiammelle che ricordano le lucciole che si vedono nei campi a giugno (Inferno, XXVI, 25-33).

Spesso nel progredire del viaggio e del discorso Dante fa spesso ricorso a invettive, nei confronti di peccatori o dei fiorentini in genere, oppure le anime fanno delle profezie che riguardano sia la vita di Dante che eventi storici e politici.

In particolare nella Divina Commedia si trovano diverse “profezie post eventum” che avevano tanto affascinato i contemporanei di Dante. Cosa si intende con questa espressione latina?

Il viaggio è ambientato nella primavera nel 1300, mentre il poema è stato composto da Dante Alighieri a partire dal 1304. Il poeta inserisce nel poema tutti i fatti accaduti fra il 1300 e il 1321, ma li presenta nella forma della profezia. E questo aveva fatto grande effetto tra i contemporanei: erano rimasti stupefatti nel leggere profezie … che si erano realizzate davvero!

Struttura e trama dell’opera

La Divina Commedia di Dante Alighieri è un poema suddiviso in tre parti dette cantiche, per un totale di cento canti. C’è un canto introduttivo all’intera opera, considerato il primo canto dell’inferno, poi ogni cantica è costituita da 33 canti.

Il verso utilizzato è l’endecasillabo e ogni verso si conclude con una parola che viene sempre rimata tre volte. Si parla infatti di terza rima o rima incatenata.

La lunghezza dei singoli canti varia da un minimo di 115 a un massimo di 160 versi.

L’argomento è il resoconto del viaggio trattato che Dante Alighieri ha compiuto nei tre regni dell’oltretomba: Inferno Purgatorio e Paradiso, un viaggio dura all’incirca una settimana. Dante però non può compiere un simile viaggio da solo, non sopravviverebbe; quindi gli vengono affiancate tre guide:

  • Virgilio, autore dell’Eneide, simbolo della ragione poetica, che accompagna Dante dalla Selva oscura fino al Paradiso Terrestre;
  • Beatrice, la donna amata in gioventù dal poeta e simbolo della teologia e della grazia; Dante la  incontra in cima al monte del Purgatorio e lei lo introduce in Paradiso;
  • San Bernardo di Chiaravalle, mistico e devoto mariano, accompagna il poeta nell’ultima parte del viaggio.
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Inferno

Al di sotto di Gerusalemme si apre la voragine infernale. Questa si è formata quando Lucifero, l’angelo che si è ribellato a Dio, è stato scagliato nelle viscere della terra.

L’Inferno della Divina Commedia di dante Alighieri ha quindi la forma di un cono rovesciato che è suddiviso in nove cerchi.

Più i peccati sono gravi, più in profondità si paga l’eterna pena, perché più si è vicini a Lucifero.

Il primo cerchio ospita il limbo dove sono accolti

  • le anime dei non battezzati,
  • gli spiriti magni, cioè i grandi dell’antichità che sono nati prima del cristianesimo, ma che si sono distinti per motivi diversi.

Qui risiede anche lo stesso Virgilio.

Chi decide la destinazione nei gironi infernali è Minosse, giudice inflessibile che accoglie i dannati al di qua dell’Acheronte il primo dei fiumi infernali.

Dal secondo al quinto cerchio si puniscono coloro che non hanno contenuto le loro pulsioni e hanno sottomesso la ragione all’istinto:

  • i peccatori di incontinenza, suddivisi in lussuriosi, golosi, avari e prodighi,
  • gli iracondi,
  • gli accidiosi, quelli affetti da pigrizia esistenziale;

Nel sesto cerchio si trovano gli eretici posti in grandi sarcofagi aperti.

Gli ultimi tre cerchi sono occupati dai maliziosi che sono suddivisi in:

  • violenti, ospitati nel cerchio settimo che è diviso a sua volta in tre gironi,
  • fraudolenti, che sono collocati nell’ottavo cerchio, diviso in dieci bolge,
  • traditori, che si trovano nel nono cerchio, diviso a sua volta in quattro zone.

Al centro della Terra è conficcato Lucifero.

Le pene a cui tutti i dannati sono sottoposti sono regolate dalla legge del contrappasso.

Si tratta di un principio che regola la pena che ha un legame per analogia o per antitesi con la colpa commessa dal dannato. Ad esempio gli ignavi, che non hanno mai preso posizione in vita, che non hanno mai fatto una scelta, sono costretti a seguire una bandiera che continua a cambiare direzione, senza smettere mai.

Purgatorio

Nel XXVI canto dell’Inferno Ulisse dice di aver visto un monte prima che un vortice trascinasse la nave del re di Itaca nella profondità del mare.

Quello che Ulisse ha visto è il Monte Purgatorio che sorge dall’altra parte del globo in posizione opposta rispetto alla voragine infernale. Quando la terra si è aperta per far entrare Lucifero si è creato il monte dall’altra parte.

Nella Divina Commedia Dante Alighieri lo descrive come una montagna altissima che si erge su un’isola al centro dell’emisfero australe, completamente invaso dalle acque. Il monte si trova agli antipodi di Gerusalemme che si trova al centro dell’emisfero boreale.

Il Purgatorio era un’invenzione piuttosto recente, infatti era stato definito l’invenzione solo nel 1274. Tale invenzione aveva, probabilmente, lo scopo di far pagare ai fedeli le orazioni per permttere ai loro cari di abbreviare il periodo di permanenza nel Purgatorio, per arrivare prima in Paradiso.

Infatti, in diversi punti della cantica Dante ribadisce il concetto che i fedeli possono aiutare le loro anime defunte nel percorso di purificazione, ma sostiene che ciò accade grazie alle preghiere dei fedeli e non in virtù del denaro versato alla Chiesa.

Dante è uomo di fede ma mal sopporta la corruzione del papato e del clero.

Alla base del monte c’è l’antipurgatorio dove le anime stanno in attesa.

Quando è il momento opportuno, i penitenti accedono al Purgatorio vero e proprio. Questo è suddiviso in sette cornici. In ognuna di esse si espia uno dei sette vizi capitali.

I penitenti di ogni cornice sono aiutati da un angelo che incarna la virtù necessaria a espiare la colpa commessa in vita. E così:

  • i superbi sono aiutati dall’angelo dell’umiltà;
  • gli invidiosi dall’angelo della misericordia;
  • gli iracondi dall’angelo della pace;
  • gli accidiosi dall’angelo della sollecitudine;
  • gli avari ei prodighi dall’angelo della giustizia;
  • i golosi dall’angelo dell’astinenza;
  • i lussuriosi dall’angelo della castità.

Si osservi che gli angeli che custodiscono il percorso di purificazione delle anime, corrispondono alle virtù a cui è necessario far appello per uscire dai peccati. Ecco quindi che Dante ci spiega quale sia l’atteggiamento corretto per elevare la nostra vita.

Sulla cima della montagna si trova infine il Paradiso Terrestre.

La disposizione dei peccati nel Purgatorio procede dal più grave al meno grave, al contrario di quanto accade all’Inferno. Infatti ci si allontana da Dio più gravi sono le colpe commesse.

Diversamente dall’Inferno, in cui le anime hanno la stessa collocazione per tutta l’eternità, le anime del Purgatorio attraversano tutte le cornici per purificare la propria anima da tutti i peccati.

Quando Dante raggiunge la sommità del monte incontra Beatrice, la donna che porta beatitudine, che lo accompagnerà nel Paradiso.

Paradiso

Il Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri circonda la Terra che sta immobile al centro dell’Universo. È circondato da dieci cieli che costituiscono il Paradiso.

I primi nove cieli sono sfere concentriche che ruotano attorno alla Terra. Ogni cielo è governato da un’essenza angelica.

  • Il primo è il cielo della Luna ed è governato dagli Angeli. Qui si trovano gli spiriti di coloro che sono stati incostanti nella vita, che non hanno rispettato i voti pronunciati.
  • Il secondo è il cielo di Mercurio, guidato gli Arcangeli; è associato agli spiriti che sulla terra si sono adoperati per ottenere una gloria terrena.
  • Il terzo è il cielo di Venere governato dai Principati. A questo cielo sono associati uomini che in vita furono spesso travolti dall’amore e dalla lussuria, ma che si sono pentiti dei loro errori e hanno trasformato la loro passione in dedizione verso il prossimo e verso Dio, con altruismo e generosità.
  • Il quarto cielo è quello del Sole che è retto dalle Podestà. A questo cielo sono associati tutti gli spiriti sapienti e saggi.
  • Il quinto è il cielo di Marte retto dalle Virtù. Qui sono accolti gli spiriti di coloro che, in vita, hanno combattuto per la fede.
  • Il sesto cielo è quello di Giove che è governato dalle Dominazioni. A questo sono associati gli spiriti che sulla terra hanno agito con giustizia.
  • Il settimo è il cielo di Saturno retto dai Troni. Qui si trovano le anime di coloro che si sono dedicati alla vita contemplativa e alla preghiera.
  • L’ ottavo cielo è quello delle Stelle Fisse, governato dai Cherubini. A questo Dante non associa nessuna schiera di beati, ma qui, secondo la tradizione aristotelica, erano collocate le stelle fisse, quelle che l’uomo ha sempre osservato nel cielo.
  • Il nono cielo è detto Primo Mobile ed è retto dai Serafini. Questo è il cielo che imprime il movimento a tutti gli altri Cieli ed è una sorta di involucro che avvolge tutti gli altri.

Il decimo cielo è l’ Empireo, sede di Dio, dei cori angelici e dei beati. L’Empireo è immobile e infinito. Dal momento che questo coincide con la mente di Dio, non è materiale e si trova al di fuori del tempo e dello spazio.

Secondo la teoria dantesca i beati risiedono normalmente nell’Empireo assieme a Dio e agli angeli, ma Dante immagina che le anime beate si siano collocate nei cieli della cui stella hanno subito il maggior influsso durante la vita, per meglio mostrarsi a lui.

Quando Dante arriva nel cielo delle Stelle fisse, assiste al Trionfo di Maria e del Cristo; poi gli appariranno le anime dei santi Petro Giacomo e Giovanni che gli pongono delle domande sui temi della fede, della speranza e della carità. Solo dopo aver risposto alle loro domande il poeta può accedere al Primo Mobile. Qui può assistere al canto dei cori angelici, nove cerchi lucenti che circondano un punto di maggior luminosità.

Assieme a Beatrice, Dante poi sarà accompagnato nell’Empireo dove i beati si manifestano in forma di candida rosa.

Qui Beatrice riprende il suo posto, quello che aveva lasciato per andare in aiuto di Dante e il poeta incontra il suo nuovo Maestro, san Bernardo di Chiaravalle, la nuova guida che aiuta a compiere l’ultimo tratto del viaggio.

Dopo aver invocato l’assistenza della Vergine, Dante viene alla visione dell’Altissimo.

Il Paradiso e si conclude con la descrizione della visione de “l’amor che move ‘l sol e l’altre stelle.”

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Temi e significato

Il viaggio narrato nella Divina Commedia di Dante Alighieri corrisponde a un articolato itinerario spirituale.

Partendo da una situazione di colpa, di errore umano, Dante Alighieri viaggia nel mondo del peccato, dove vede, e mostra a noi, gli effetti della colpa sull’umanità.

L’uomo naturalmente sbaglia, nessuno può sottrarsi a questa sua natura. Ma quando un uomo compie un errore può, e deve, prenderne atto. È questo che ci mette in contatto con la nostra dimensione divina.

Senza assunzione di responsabilità, la colpa ci inchioda nel male, nella dannazione. Quando però il peccatore riconosce i propri errori, e se ne assume la responsabilità, può iniziare il suo percorso di espiazione, di purificazione, che porta la sua anima nel grembo della grazia divina, in Paradiso. E qui potrà vivere nella beatitudine, nella pace, nell’amore.

Lo scopo che si prefigge Dante Alighieri è quello di mostrare a noi  la via per uscire dal peccato e per trovare pace e serenità, la vera beatitudine.

Ogni personaggio che Dante incontra nell’Inferno è per noi un esempio da osservare e da non imitare, quelli che nel Purgatorio sono modelli di umanità e di coraggio. È il coraggio la virtù necessaria per assumersi la responsabilità delle proprie azioni. E il coraggio è la virtù che caratterizza così tutti i beati che siedono nel Paradiso.

Come Dante stesso spiega, la Commedia è un’opera polisemica, un’opera organizzata in diversi livelli di significato:

  • letterale, la chiave di lettura prima e immediata; in questo senso il poema è una cronaca di viaggio;
  • allegorico, così i teologi si accostavano i testi biblici, cercando simboli e significati legati alla teologia cristiana;
  • morale, che porta la Commedia ad essere un manuale di comportamento per la vita;
  • figurale, gli avvenimenti storici non esauriscono la loro funzione sulla terra, ma si completano nell’aldilà; gli eventi quindi sono prefigurazione di verità trascendenti.

I temi trattati sono moltissimi e percorrono le dimensioni della vita dell’uomo. Si parla di amore e di passione, di lavoro e di divertimento, di vita e di morte.

È straordinaria la delicatezza con cui Dante si accosta sia alle anime dannate che alle anime dei penitenti: mentre condanna le colpe commesse, prova spesso grande rispetto e compassione per la fragilità umana.

Qualche volte però il poeta si arrabbia e arriva anche a maledire alcuni dannati, come nel caso di Filippo Argenti. Ma in tali occasioni Virgilio gli fa notare che, talvolta, è necessario prendere distanza, anche con durezza da chi, con arroganza, persevera nella colpa.

Perché leggere la Divina commedia di Dante Alighieri

Undici anni fa mi sono trovata, per la prima volta, in una terza superiore, a insegnare Letteratura italiana. Avevo una classe di una scuola professionale in cui gli alunni appartenevano a dieci etnie: lingue, culture e tradizioni diverse. Non era facile coinvolgerli.

In quella classe, in ultima fila, la fila degli svogliati, c’era chi si truccava, chi mangiava, chi sonnecchiava. Ogni mattina era necessario attirare la loro attenzione e tenerla alta, per evitare che indugiassero nei loro passatempi preferiti.

Quando introdussi la Divina Commedia di Dante Alighieri, rimasi stupita della loro attenzione. Non serviva che io mi prodigassi in piroette didattiche perché erano tutti attenti! Le parole di Dante “accalappiavano” le loro anime e i loro occhi erano fissi su di me.

Ero sbalordita! Poche volte mi era capitato di percepire un tale spessore di attenzione.

E che cosa li attraeva in questo modo? Io credo che si trattasse di tre elementi: la verità, il bisogno di una guida e il contatto con la grandezza umana. 

Le parole di Dante sono vere, raccontano di un viaggio vero, un viaggio che tutti noi, a tappe abbiamo già percorso, o abbiamo bisogno di percorrere, nella nostra vita.

Dante è stato esiliato, rifiutato dalla sua terra, dalla sua gente. Quante volte anche a noi è capitato di sentirci rifiutati? Quanti uomini e donne oggi hanno dovuto lasciare la propria terra e la propria gente?

Dante racconta il suo sentire, un sentire che riverbera nel cuore di chi ha vissuto, ieri e oggi, esperienze simili.

Nel viaggio il poeta incontra i vizi e le virtù degli uomini. Incontra modelli negativi e modelli positivi. Ci mostra le polarità all’interno delle quali ogni uomo agisce. Ma ogni estremismo è sempre sbagliato.

Quando nel girone dei prodighi e degli avari ci mostra questi due comportamenti, due errori in cui cade chi non ha equilibrio nella gestione dei beni materiali, Dante ci invita a porre l’attenzione sulla necessità di trovare l’equilibrio nelle cose.

La nostra vita può essere paragonata ad un viaggio, metafora per eccellenza, ma forse il viaggio che più si adatta è quello in mare, in cui una barca continua a ricercare il suo equilibrio, per galleggiare e per navigare. Non c’è una posizione corretta, c’è una costante tensione all’equilibrio. E chi di noi non ha bisogno di questo?

Inoltre spesso nella vita abbiamo bisogno di una guida, cerchiamo chi ci sostenga, chi ci sproni, chi ci consigli. Dante perso nella Selva oscura rischia la morte: da lì mai nessuno era uscito vivo. In quel momento si guarda intorno e vede un’ombra. Che cosa fa? Chiede aiuto, “ Miserere di me” grida, abbi pietà di me. Dante qui compie un atto di grande umiltà, chiede aiuto. Ma quante volte noi non abbiamo avuto il coraggio di chiedere aiuto?

Certo ci vuole umiltà per chiedere, ma spesso, se superiamo le paure o le nostre nostre, rigidità, possiamo trovare chi allunga una mano verso di noi.

Dante ci sprona ad essere umili e a chiedere aiuto: da soli non ce la facciamo, ma con un Maestro possiamo addirittura arrivare fino al fondo buio del nostro personale inferno e tornare su “ a riveder le stelle ”.

Il poeta ci fa incontrare animi grandi, i magnanimi, ci mostra cioè la grandezza dell’animo umano. E in questo mostrarci la magnanimità altrui, ci mette in contatto con la nostra.

Tutti noi abbiamo un animo grande, un animo forte e saggio.

Basta solo che ce lo ricordiamo.

Basta solo che noi prendiamo contatto con questa nostra dimensione, che lo ritroviamo, nascosto sotto le nostre piccole meschinità. Abbiamo bisogno di riappropriarcene per ritrovare in noi quella grandezza che ammiriamo negli altri.

Dante poi è un uomo vero che affronta le fatiche della vita, come ognuno di noi, che si misura con i suoi limiti e con le sue risorse, che ogni tanto parla a sproposito e altre si mostra saggio e sensato. È uomo come noi, è uno di noi. E quando entriamo a viaggiare con lui, ci sentiamo compagni di viaggio. E infatti un giorno, una mia studentessa tunisina, di recente immigrazione mi ha detto: “Prof. ho comprato la Divina Commedia in arabo perché mi rendo conto che Dante è stato esiliato come me e lui sa esattamente quello che io provo. Io voglio capire bene tutto quello che lui dice!”

Grande Dante!

Spero di esser riuscita a convincerti ad affrontare questo straordinario assieme a Dante.

E se vorrai, puoi intraprenderlo con me. Sul mio canale Youtube Testi della letteratura lo leggo e ne spiego il significato, in modo da permetterti di viaggiare con lui, in maniera un po’ più comoda!

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