Le ragioni del dubbio di Vera Gheno, recensione
Indice dei contenuti
Le ragioni del dubbio, ovvero, “L’arte di usare le parole” è il sequel, tanto per usare un vocabolo prestato alla nostra lingua – e non lo specifico a caso trattandosi del libro di una linguista… – del precedente saggio di Vera Gheno, “Potere alle parole”. Utilizzo il più esotico sequel e non continuazione, perché “Le ragioni del dubbio” è un’opera completa in sé stessa.
Aver o meno letto il libro precedente non ne pregiudica in nessun modo la lettura. Certo, la integra, esattamente quanto ogni espressione pubblica dello stesso autore aggiunge pensiero nel tempo, in un continuo viaggio di conoscenza, come Vera Gheno fa, e come noi tutti dovremmo (leggi: dobbiamo in quanto esseri umani) sentirci chiamati a fare.
Ribadisco qui, perché il contesto lo reclama trattando di uso della lingua, la premessa che già avevo fatto a proposito della precedente recensione Non voglio più piacere a tutti di Maria Beatrice Alonzi: non è mia intenzione offendere nessuno, sebbene a Vera Gheno piacerebbe che utilizzassi gli schwa perché tanto ne ha scritto e teorizzato, ma maschile, femminile e ogni genere sessuale non binario ha il mio stesso identico rispetto. In virtù di questo, rivendico la mia libertà di scegliere a volte sostantivi e aggettivi maschili e a volte femminili e comunque di includere e rivolgermi a chiunque abbia il piacere e l’interesse di continuare la lettura.
Le ragioni del dubbio di Vera Gheno
Questo è il libro di un metodo che riguarda il nostro modo di utilizzare le parole. Il metodo si chiama DRS. Dubbio-Riflessione-Silenzio sono le parole chiave con cui Vera Gheno ha voluto condensare il suo percorso fin qui. Un metodo faticoso per alcuni e appassionante per altri, come me, perché richiede applicazione costante e pensiero continuo ma, nel contempo, molto pratico.
Il libro è ricco di suggerimenti, espedienti, sommari. Molte sono le citazioni che richiamano la scrittura e il pensiero di Gianni Rodari, Italo Calvino e del linguista Tullio de Mauro.
Almeno tre sono gli assunti da cui il Metodo DRS nasce.
- Il linguaggio è ciò che ci distingue da tutti gli altri esseri viventi. Per estensione, è ciò che ci rende umani perché ci fa capaci di decodificare la realtà e raccontarla.
- La lingua, o, meglio, la nostra competenza linguistica è potere ed è una risorsa trasversale a qualsiasi altra disciplina. A che serve sapere se poi non siamo in grado di condividere, comunicare, raccontare, ciò che conosciamo? E ancora, lavorare sulla qualità del nostro rapporto con la comunicazione significa migliorare la nostra connessione con la vita e l’influenza sulle persone che abbiamo intorno. Siamo tutti fruitori di informazioni, ma, specialmente dall’avvento dei social in poi, siamo anche tutti generatori di contenuti.
- Le parole che utilizziamo definiscono chi e cosa siamo, di conseguenza tutto ciò che non siamo. Ogni volta che le utilizziamo, parlando, scrivendo, o stando zitti, facciamo una dichiarazione di identità individuale e collettiva rispetto alla nostra tribù di riferimento.
“Non si abita un paese, ma una lingua”, ci ricorda Vera Gheno. Quindi, più consapevoli diventiamo rispetto a una competenza, quella linguistica, che apprendiamo a gratis quando nasciamo, e più saremo capaci di comunicare ciò che abbiamo intenzione di far arrivare a chi ci ascolta e di comprendere ciò che gli altri ci stanno comunicando.
Sia da emittenti che da riceventi siamo, nella consapevolezza, parti attive. La comunicazione è generativa. Il linguaggio per trasformarsi in una performance comunicativa necessita di entrambe le parti. La questione, per quanto ovvia possa sembrare, entrando nel Metodo, è niente affatto banale.
Il Dubbio è ciò che ci fa evolvere. La certezza di aver esaurito l’esplorazione del nostro sapere, fosse anche solo in una singola disciplina, è la fine di ogni evoluzione.
La Riflessione ha a che fare con il controllo e la consapevolezza, quindi l’efficacia, delle parole che usiamo.
Il Silenzio è una risorsa da conoscere, comprendere e coltivare perché è polisemico, cioè portatore di tanti significati, esattamente come le nostre parole.
Nessun prodotto trovato.
Vera Gheno
Nella quarta di copertina leggiamo che, tra le altre cose che definiscono le sue competenze, Vera Gheno è una sociolinguista in comunicazione digitale. Una persona che ha passato la vita a studiare, e insegnare, le parole, a parlarne e a capire come usarle bene, cioè in maniera efficace. Perché, come dichiara nel libro: “la competenza linguistica ci aiuta a comprendere meglio noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda”.
È, cioè, una studiosa dell’origine delle lingue, della loro struttura e della loro evoluzione nel corso del tempo, perché, se il linguaggio esprime la realtà, ed essendo la realtà in continuo movimento, va da sé che il linguaggio evolve, e muta, con lei. Ma il suo campo di indagine e di interesse, la sua curiosità, l’hanno portata a interessarsi del rapporto della linguistica con la società in una dimensione onlife, dove l’analogico e il virtuale non hanno soluzione di continuità.
Vera Gheno conosce diverse lingue, bilingue per nascita è traduttrice dall’ungherese, e si definisce una grammamante, in contrapposizione ai grammarnazi, che sono coloro che cercano ossessivamente la regola, quelli che la invocano per restarne ingabbiati e non evolversi mai. Un po’ come coloro che a scuola ripetevano tutto a pappagallo e magari studiavano a memoria più del necessario, anche l’ultima riga delle note delle note, per la soddisfazione di blastare (attaccare e zittire l’interlocutore dall’alto di una presunta superiorità intellettuale e morale) chiunque, con la sicumera di chi recinta il suo piccolo sapere per poi restare ingabbiato nell’ignoranza di tutte le competenze che si negherà di apprendere e di tutto il mondo che non riuscirà a conoscere.
La nostra recensione
Conoscevo Vera Gheno come divulgatrice, sono appassionata di lingua, linguaggio e parole. Non riesco a farmi coinvolgere dalla sua metodicità sullo studio degli schwa, ma la leggo con passione e ammirazione. Le ragioni del dubbio è arrivato a me con un incipit che mi ha incollata alla pagina “Le parole mi hanno salvata…”.
Le parole a me hanno salvato la vita sempre, le parole degli altri, le parole che ho voluto imparare a usare, le parole che non sono ancora arrivate. Il viaggio nella lingua è un viaggio infinito, di continua scoperta ed evoluzione. Non a caso, ogni dizionario è descrittivo, fa la fotografia dell’uso della lingua in un momento più o meno attuale, e non prescrittivo, statico.
Le ragioni del dubbio, tuttavia, va oltre la lingua, il linguaggio e le parole. Entra in maniera semplice, diretta, e utile a tutti, nelle nostre vite. Ha la capacità di illuminare ogni momento comunicativo della nostra quotidianità, in ogni sfera della nostra socialità. È un libro politico, democratico, generoso.
Non è facile parlarne senza svelare troppo delle sue pagine perché nulla qui è astrazione, boria o accademia. Uno dei punti fondamentali del pensiero di Vera Gheno, che condensa in assi cartesiani della comunicazione – intenzioni, contesto, interlocutori – e in massime – modo, relazione, quantità e qualità – è proprio che l’unione fa la forza e che dare, condividere, divulgare è la nostra massima espressione di cittadinanza.
La lingua è lo strumento per imparare a leggere ciò che abbiamo intorno, per aiutarci in ogni nostro mestiere quotidiano, per darci supporto nella nostra sfera privata e per, come ho detto prima, definire, prima di tutto a noi stessi, da dove veniamo e dove vogliamo andare.
Quanto può esserci utile ogni volta che mandiamo un messaggio via whatsapp o pigiamo il tasto pubblica di un post o abbiamo da portare il nostro progetto in un tavolo di lavoro?
Un modo per comprendere quanto potere diano o tolgano le parole, quando è utile tacere, e quando è utile non farlo. Un potere che ognuno di noi ha e che, specialmente quando ne ha più degli altri per esposizione, deve sapere come utilizzare.
La lingua è democratica, appartiene a tutti, ognuno di noi ha la possibilità di esplorarla. Nessun sapere è mai acquisito per sempre ma c’è ogni giorno un territorio nuovo da mappare. Diffidiamo da chi sa di sapere e continuiamo a coltivare il dubbio di non saperne ancora abbastanza. Impariamo ad ascoltare la lingua nostra e degli altri.
Ogni parola che usiamo porta con sé la storia della nostra vita, non la storia accademica, ma quella che Vera Gheno chiama autobiografia linguistica, cioè la lingua della nostra famiglia, del dialetto con cui siamo cresciuti, della nostra infanzia, dei nostri giochi, dei nostri amici e delle nostre letture. Ognuna di queste parti ha la stessa bellezza e dignità. È l’essenza di ciò che siamo e l’opportunità di ciò che potremo diventare.
Delle parole che hai letto in questo articolo, di quante sapresti esattamente parafrasare il significato? E a quante sapresti sostituire il sinonimo più adatto, ammesso che esistano parole perfettamente sovrapponibili? Quali useresti per raccontarlo a tuo figlio, a tua madre, ai tuoi dipendenti o al tuo datore di lavoro? E per consegnarle a un messaggio su Instagram?