Come colmare il gender gap nelle lauree STEM?
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Come colmare il gender gap nelle lauree STEM? Lo abbiamo chiesto a Nicole Ticchi, presidente dell’associazione She is a scientist, che ho intervistato in esclusiva per LeROSA dopo il suo contributo all’evento LeROSA next, tenutosi a Bologna, presso la sede di Studio Siamo, il 10 giugno scorso.
Nicole Ticchi è chimica farmaceutica e per anni si è dedicata alla ricerca industriale presso l’università di Bologna.
Ha conseguito un master in Giornalismo e Comunicazione della scienza, grazie al quale oggi cura la comunicazione scientifica istituzionale di associazioni ed enti di ricerca, oltre a dedicarsi a progetti di divulgazione per giovani e adulti.
Il 6 luglio scorso è uscito il suo libro “Salute a tutti i costi“, edito da Codice Edizioni, che descrive l’impatto che la cura della nostra salute ha sull’ambiente e sulla società a livello globale.
Nel 2017 ha fondato She is a scientist, associazione attraverso la quale studia e comunica la percezione delle donne nella scienza, per sensibilizzare le generazioni nuove e contemporanee a una maggiore equità e pari opportunità nel settore scientifico e nella ricerca.
Qual è il primo passo per colmare il gender gap nelle lauree STEM?
Esistono diversi livelli su cui si può lavorare, che vanno a coinvolgere tutti gli attori della società.
Non c’è, in realtà, un passo più importante in assoluto che si possa compiere per raggiungere questo complesso obiettivo.
Ci sono azioni di tipo educativo, dirette alle fasce di età più giovani, per incentivare lo studio di materie STEM, altre di tipo normativo, che introducono direttive mirate a regolamentare e favorire la partecipazione delle donne nel campo lavorativo e, poi, ci sono azioni di tipo culturale, che permettono di promuovere un cambiamento generalizzato di mentalità a livello di cittadinanza.
La combinazione di queste azioni, portate avanti da soggetti diversi e dirette a target anche molto differenti tra loro, è fondamentale affinché vi sia un reale cambiamento profondo e duraturo nella società.
Nel momento in cui la mentalità evolve, molti dei problemi che oggi riscontriamo e che non hanno a che vedere con le reali competenze possedute dalle donne probabilmente si risolveranno.
Parlaci del fenomeno della Leaky pipeline
Metafora che rappresenta il progressivo abbandono delle materie STEM da parte delle ragazze. Perché avviene? Come si può fermare questo fenomeno?
Parliamo letteralmente di un tubo che perde: non c’è metafora più azzeccata per questo fenomeno.
Perde risorse preziose, formate e che rappresentano un enorme potenziale di sviluppo, soprattutto in questa moderna ottica di sostenibilità.
Il percorso di carriera verso ruoli apicali è minato soprattutto da stereotipi culturali e da difficoltà pratiche con cui sono le donne a scontrarsi. Questi due fattori sono legati in maniera indissolubile tra loro e influenzano la possibilità non solo di raggiungere livelli elevati a livello di stipendio e prestigio, ma anche di nutrire questo tipo di aspirazione.
Questo avviene, peraltro, in tutti i campi di competenza, non solo nelle STEM, segno che la leadership viene ancora associata a caratteristiche e ruoli prevalentemente maschili.
La maternità, additata come una delle cause principali del progressivo abbandono da parte delle donne dei percorsi di carriera, influisce effettivamente non solo nella pratica, ma anche a livello concettuale: anche donne che non hanno figli e non intendono averli, dichiarandolo apertamente, subiscono lo stereotipo della maternità, in quanto rischiano di non avere assegnati compiti importanti perché si da per scontato che prima o poi avranno questo “problema” sul loro percorso.
Fermare questa perdita, come anticipato prima, vuol dire lavorare su diversi fattori, sia culturali che tecnici.
Una delle problematiche è che spesso le donne con competenze STEM continuano a lavorare in questo ambito, ma si trovano a ricoprire posizioni non ritenute privilegiate (di supporto, organizzazione, comunicazione, management) e non sempre valorizzate.
Perché è importante avere modelli di ruolo di donne nelle STEM?
La risposta breve è: vedere per credere.
Come per ogni ambito, l’immaginario collettivo e le ambizioni si costruiscono attraverso la realtà che ci circonda.
Come possono i giovani, in particolare quando sono piccoli, sapere che tutti e tutte possono fare scienza?
È possibile solo se ne abbiamo contezza, se vediamo che è effettivamente così.
E attenzione, non è importante solo per le bambine e, in generale, per le donne, ma per tutti.
Uno dei problemi fondamentali è la credibilità e le competenze che associamo alle donne: se non siamo abituati a vederle ricoprire determinati ruoli non saremo mai abbastanza abituati a ritenere normale che ciò avvenga e, ogni volta, ci sarà una sorta di diffidenza.
La rappresentazione delle donne, sia aumentando la presenza che mettendo bene in luce quelle che già ci sono, fa sì che siano disponibili sempre più modelli di ruolo.
Modelli che non devono per forza essere casi da Nobel e sensazionali, ma far vedere che le donne ci sono e rappresentano una parte fondamentale nello sviluppo scientifico.
Per questo servono le storie di scienziate del passato ma anche di quelle attuali, servono storie di successo ma anche racconti della vita di tutti i giorni.
Normalizzare la scienza come un processo lungo, laborioso e che richiede costanza è fondamentale e passa anche attraverso il modo in cui scegliamo di raccontare la storia delle persone che ne fanno parte.
Cherry picking: cos’è e come combatterlo?
Esistono diversi stereotipi di genere che impediscono di colmare il gender gap, ad esempio il Cherry picking, che si riferisce al fatto che i dati non sono neutrali. Di cosa si tratta esattamente? Perché ha a che fare con le donne e le materie STEM?
Esatto, i dati non sono mai neutrali, nemmeno quando facciamo di tutto per renderli il più possibile oggettivi.
Questo accade perché chiunque, quando avvia una raccolta dati, ha un’agenda, uno specifico interesse da approfondire e il modo in cui i dati vengono raccolti lo rispecchia.
Questo non significa che i dati vengano modificati a piacimento, ma il pericolo di cherry picking è sempre dietro l’angolo, soprattutto se si tratta di questioni di genere.
Ne sono un esempio alcuni studi riguardanti l’inclinazione naturale del genere femminile e di quello maschile, secondo cui le donne sarebbero più propense al lavoro di cura, sia in ambito domestico che professionale.
Un altro errore frequentemente commesso riguarda il possibile utilizzo di un dato ottenuto tramite l’osservazione di una determinata parte della popolazione al fine di parlare di un fenomeno che riguarda una categoria più ampia, una generalizzazione che però diventa sbagliata.
Un esempio di questo è la comunicazione di un aumento di accesso di donne a una determinata scuola, facendo passare erroneamente l’idea che tale aumento riguardi materie STEM quando invece si riferisce solo a materie umanistiche.
C’è un problema anche legato ai dati sulle posizioni ricoperte dalle donne nelle STEM: spesso si parla solo di ricercatrici e si riportano i dati della loro presenza, ma non tutte le donne che lavorano in ambito STEM fanno ricerca e non tutte le fanno a livello accademico.
Dobbiamo andare oltre questi dati e capire meglio, indagare più a fondo per capire meglio la situazione e caratterizzare in maniera più chiara il divario. Non basta affidarsi a delle fonti autorevoli.
La prima arma che abbiamo nei confronti di questo meccanismo è la consapevolezza: accompagnare i dati da una breve analisi di contesto e dalla descrizione del modo e dello scopo con cui sono stati raccolti rende più consapevoli le persone delle condizioni in cui quei dati sono stati prodotti e per quale scopo, abbassando le probabilità che il cherry picking avvenga e che si propaghi come fenomeno.
Gender gap e STEM: quali sono le difficoltà?
Le STEM sono uno dei tanti ambiti in cui gli stereotipi di genere si manifestano e intralciano i processi, facendo sì che la cultura influisca sulle possibilità di realizzazione delle donne.
Lungi dal considerare meno interessanti gli altri ambiti, le STEM ci interessano così tanto perché rappresentano un settore chiave per molti aspetti: innovazione, prospettiva di crescita economica, avanzamento delle conoscenze e delle professioni, autonomia e indipendenza.
I dati Istat parlano di una ancora accentuata percezione nella segregazione delle competenze e del fatto che i ruoli di cura e caregiving sono quasi del tutto a carico della donna: per molti uomini e anche per molte donne è normale che sia così e questo pregiudica anche l’interesse a intraprendere percorsi che potrebbero distogliere l’attenzione dai ruoli che alla donna vengono riconosciuti come naturali.
Se nelle scienze della vita questo gap è attenuato, proprio perché culturalmente siamo più abituati a vedere donne che si occupano di materie che hanno a che fare con la vita, nelle tematiche legate al digitale e alla tecnologia, è ancora forte la sensazione che non sia un posto per donne.
Le cose stanno cambiando e negli ultimi 20 anni ci sono stati aumenti nei corsi di studio di figure femminili, ma il problema si è spostato più là nel tempo, andando a incidere sui percorsi di crescita dopo la laurea e il dottorato.
In Italia è 15,7% la quantità di ragazze che scelgono di dedicarsi a un percorso di studi in ambito ICT, contro il 33,93 % (GlobalGender Gap Index 2021).
Comunemente viene definito come “diverso interesse” delle donne, che non studiano queste materie perché ne preferiscono altre, ma il punto è che non si parte dalla stessa linea e non si hanno le stesse opportunità di partenza, quando i condizionamenti culturali sono così accentuati.
Cosa possono fare i genitori per supportare questa lotta?
Posto che il condizionamento è qualcosa che, per quanto ci impegniamo, difficilmente riusciamo ad evitare, è importante che i bambini vengano cresciuti nella maggiore libertà di pensiero possibile, a prescindere dal genere.
Uno dei fenomeni che spesso si mettono in atto è quello di negare alle bambine giocattoli tipicamente femminili, inducendole a giocare con oggetti il più possibile neutrali.
Potrebbe sembrare un approccio sensato, ma non lo è, per il fatto che giocare con giocattoli femminili non induce automaticamente ad escludere interessi verso la scienza e la tecnologia.
Questo approccio di solito non viene messo in atto per i bambini, che, anche quando gli viene fornito un giocattolo tipicamente femminile, sono liberi di scegliere con quale oggetto giocare.
Punto ancora più importante: abituare al fallimento e al rischio con lo stesso approccio a prescindere dal genere.
Sono fenomeni costanti, più del successo, nella nostra vita: vanno normalizzati ed elaborati.
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