Violenza domestica sulle donne: come difendersi

Violenza domestica sulle donne: come difendersi

Violenza domestica sulle donne: come difendersi? È possibile difendersi o addirittura prevenire? Sicuramente si, e senza essere cintura nera di arti marziali varie.

Prima di tutto mettiamo a fuoco che la violenza domestica è articolata e soprattutto costituisce un reato.

Può essere psicologica, fisica, sessuale, economica, e se ci sono minori si configura la violenza assistita, propria cioè dei bimbi che assistono ad episodi critici fra i genitori.

Può essere accompagnata anche da quell’insieme di comportamenti persecutori che viene definito stalking, anch’esso reato penale.

È un fenomeno diffuso in tutti i paesi e gli aggressori si trovano in tutti i ceti sociali, senza distinzioni di razza, etnia e quando è perdurante nel tempo si configura il reato di maltrattamenti. Spesso non si è capaci di riconoscerla, e altrettanto spesso non si denuncia per vergogna o per paura.

Ci sono alcuni elementi da tenere presenti.

  • Normalmente si tratta di un percorso in cui “lui” diventa sempre più aggressivo e violento. Difficilmente un uomo pacifico si alza una mattina e inizia a usare violenza psicologica o sessuale o di altro genere sulla compagna. Esiste una sola fattispecie di questo genere e ne parlerò fra poco.
  • È indispensabile che ogni donna sia preparata a questo tipo di eventualità e che fissi dei paletti, stabilendo cosa è disposta ad accettare e cosa assolutamente intende rifiutare. Ogni coppia infatti si basa su un nuovo equilibrio, in cui i componenti trovano una mediazione fra i diversi valori e comportamenti personali.
  • È cosa buona e giusta fissare la regola “Mai uno schiaffo“: deve bastarne uno per chiudere il rapporto ed andarsene. Se si riceve uno schiaffo oggi, magari seguito da scuse, mazzi di fiori, pentimenti e promesse, conditi da giustificazioni del tipo “sono molto nervoso in questo periodo”, con molta probabilità domani gli schiaffi saranno due e si metterà in moto un’escalation. Un solo schiaffo è sufficiente per riflettere molto seriamente sul da farsi.
  • Conosci davvero il tuo compagno? Da quanto tempo? Che tipo di relazione desideri? Hai valutato bene, approfonditamente, le sue caratteristiche ed i suoi comportamenti prima di convivere? Hai avuto modo di sapere come si è comportato in altre relazioni? Difficilmente infatti un uomo abituato a esercitare violenza sulla sua compagna cambia comportamento. Se è stato violento prima di te, e si giustifica attribuendo tutta la responsabilità all’altra, vai a fondo e cerca di capire bene le circostanze e le dinamiche. Possono esserci donne bugiarde e vendicative, ma possono esserci invece relazioni fallite per problematiche serie attribuibili a lui.

Esiste una possibilità, cui accennavo poco più su, in cui effettivamente un uomo considerato innocuo un giorno fa una strage in famiglia.

Una storia vera, accaduta diversi anni fa.

Lui, un ometto (anche fisicamente) cortese, dimesso, gentile e disponibile. Lei, all’opposto. Avevano un’attività commerciale assieme e due figlie. Lei lo comandava a bacchetta in casa e al lavoro e le figlie ormai adolescenti tendevano a replicare i comportamenti materni. Un giorno, al rientro da una gita, è stato sufficiente un insulto di troppo, neanche particolarmente pesante. Lui non ha replicato, è andato a prendere il fucile e ha sterminato la sua famiglia, iniziando dalla moglie.

In genere in questi casi si parla di “raptus” ma in verità questa fattispecie non esiste. Esiste invece una storia di offese e soprusi di anni, accettati passivamente e incamerati assieme a rancore e rabbia, che improvvisamente esplodono facendo perdere il controllo.

Si poteva evitare? Certamente si. Se lei avesse avuto rispetto formale e reale di lui e lo avesse trasmesso alle figlie. Se lui avesse avuto la forza di parlare ed esprimersi, evidenziando il fastidio ed il dolore che sentiva.

In questi casi si parla di “invisibilità del rischio”, quando una persona non fa minimamente sospettare di cosa potrebbe essere realmente capace. Ma, come già detto, si tratta di una relazione squilibrata e psicologicamente violenta.

Ho raccontato questa storia perché è illuminante sul rischio del silenzio.

Come difendersi dalla violenza psicologica

Spesso la violenza domestica sulle donne assume una connotazione soprattutto psicologica.

I dati ufficiali ed i racconti delle vittime ci dicono che la difficoltà maggiore è riconoscerla.

Per difendersi, bisogna prima capire ed identificarla, dare il giusto nome a quello che si vive.

Può iniziare quando la relazione si chiude, oppure essere presente anche prima.

Per potersi difendere bisogna in ogni caso partire da sé e richiamarsi alle regole stabilite in precedenza. Il problema è che spesso non riusciamo a comprendere di essere diventate vittime di violenza, ce ne accorgiamo quando il dolore è diventato ampio e la nostra vita è diventata pesante ed opprimente.

La violenza psicologica si esprime attraverso ricatti, intimidazioni, minacce, ma soprattutto denigrazioni e svalutazioni. Più sottile è, più è difficile riconoscerla per quello che realmente è.

I comportamenti psicologicamente violenti si declinano in modi diversi ma con obiettivi comuni: ledere la donna nella sua dignità, indebolirla, porla alla mercé del suo aguzzino. Potrà esserci il rifiuto di ascoltarla, il crearle il vuoto intorno, non consentirle interazioni e scambi con l’esterno.

Oppure la svalutazione tramite il confronto con altre donne che sono indicate come più belle o capaci o raffinate o altri attributi variabili.

Si potrà arrivare all’isolamento.

Potranno esserci minacce più o meno velate, anche di tipo sentimentale, per indurre la donna ad attuare i comportamenti voluti da lui.

Quello che non cambia è il bisogno di lui di emergere nella coppia, di avere il potere su di lei.

Questo lo gratifica e lo compensa per frustrazioni e difficoltà che vive o ha vissuto.

Per difendersi bisogna dunque rompere lo schema, se possibile non accettarlo fin dall’inizio, ma questo dipende dal livello di maturità e consapevolezza della donna.

Cosa fare quando ci si rende conto di essere una vittima di violenza psicologica?

Sicuramente bisogna smettere di essere vittima e riprendere i propri spazi, le relazioni amicali, gli scambi con l’esterno. Soprattutto bisogna parlare di ciò che si sta vivendo, chiedere consiglio, avere una rete di amiche disposte a dare aiuto.

Sembra poco, ma riprendere in mano la propria vita non è mai semplice, bisogna contrastare il senso di fallimento, i sensi di colpa, lo straniamento. È consigliato intraprendere un percorso con una specialista per ritrovare se stesse.

E valutare se il rapporto può essere recuperato, generalmente con percorsi terapeutici, o va chiuso.

In sintesi, difendersi dalla violenza psicologica vuol dire:

  • riconoscere il problema;
  • ristabilire la connessione profonda con se stesse, i propri valori, i propri obiettivi;
  • aumentare la propria consapevolezza e la propria autostima;
  • ristabilire i contatti con l’esterno e aprirsi con persone amiche, cercare confronto e aiuto;
  • tenere aperti i canali comunicativi con “lui” per evitare reazioni aggressive e per decidere se continuare la relazione, con supporti terapeutici, o troncarla.

A questo punto si fa spazio alla tipologia di violenza psicologica dopo la rottura della relazione.

Le cronache sono piene di narrazioni: lui che non accetta la rottura e mette in atto comportamenti violenti come pedinamenti, telefonate (tante, di giorno e di notte), richieste di incontri, attenzioni indesiderate, tanto da indurre la ex a vivere nella paura e nell’ansia.

Tutto ciò va sotto il nome di “stalking”.

Non sono rari i casi in cui le vittime di stalking decidono di cambiare abitudini (prima) e poi città e lavoro pur di sfuggire al proprio persecutore.

Difendersi efficacemente non è semplice. Probabilmente far cessare il comportamento persecutorio è impossibile, visto che si ha a che fare con soggetti fortemente disturbati, ma si possono adottare alcuni comportamenti per evitare che la situazioni si aggravi:

  • evitare di incontrare l’ex amore diventato persecutore. Spesso viene richiesto un ultimo appuntamento per dirsi addio, che purtroppo si conclude frequentemente con la morte della donna.
  • variare gli orari di uscita e rientro, i percorsi, le abitudini in generale, cambiare il numero di telefono, assicurarsi di essere scortate al rientro a casa, creare una rete di amiche/i che controllino se è tutto a posto e che si attivino in caso di mancata risposta a telefonate o messaggi;
  • in caso di pedinamento recarsi direttamente al più vicino posto di polizia;
  • ovviamente denunciare lo stalker, possibilmente recando con sé le prove (registrazioni delle chiamate, i messaggi, eventuali testimonianze), chiamare il 1522 e fare riferimento alle reti antiviolenza sulle donne.

Purtroppo la violenza domestica sulle donne coinvolge i bambini. In questo caso si parla di violenza assistita, quella a cui appunto i figli assistono, e che è foriera di conseguenze problematiche per i bimbi:

  • sullo sviluppo fisico, con possibili deficit di crescita e manifestazioni di forte stress;
  •  sullo sviluppo cognitivo, con effetti sull’autostima, sull’empatia e le relazioni sociali;
  • sul comportamento, con paura costante, senso di colpa, tristezza e rabbia, ansia, aumento di impulsività, ma anche depressione, tendenze suicide, disturbi del sonno e dell’alimentazione;
  • sulle capacità di socializzazione.

È evidente che alla donna tocca il compito e la responsabilità di salvare se stessa e i propri figli. Vietato attendere.

Come difendersi dalla violenza economica

Quale miglior modo per creare sudditanza in una donna che costringerla a dipendere economicamente da lui?

Anche qui, la difficoltà maggiore è capire cosa sta succedendo. Dal proprio compagno ci si aspetta sostegno, magari si può pensare che lui sia spinto dal bisogno di protezione e non dal desiderio di affossare i progetti di indipendenza economica.

Una forma di violenza domestica sulle donne fra le più perverse è quella economica, per tagliare fondi e risorse alla donna, e si può esprimere in diversi modi, a seconda del punto di partenza, ovvero se lei ha un lavoro o lo sta cercando.

Nel caso in cui lei abbia il suo lavoro, lui può mettere in atto una serie di azioni e comportamenti per indurla a boicottare se stessa, ad esempio parlandole male di colleghi, o convincendola a mosse azzardate che si riverbereranno negativamente sulla sua posizione lavorativa.

Può criticare le sue scelte, svalorizzandola e creandole insicurezza.

Può indurla a mancare ripetutamente al lavoro perché lui ha bisogno di lei o è in crisi o vuole lasciarla o qualche altra emergenza di questo genere.

Può lodarla e dirle che una donna del suo valore e capacità merita di meglio, insistendo fino a quando lei non abbandona quella posizione a favore del nulla.

Oppure può agire subdolamente alle sue spalle creandole un ambiente lavorativo negativo e sfavorevole.

Se lei cerca lavoro, il boicottaggio sarà ancora più semplice.

Le farà notare che la sua ricerca è inutile o le parlerà malissimo di un’azienda che cerca dipendenti o di uno studio professionale che vuole fare spazio a nuove collaborazioni.

Potrà scoraggiarla nell’inviare curriculum e magari la ricatterà emotivamente sottolineando che in famiglia c’è bisogno di lei.

I modi sono tanti, l’intento è solo uno: chiuderla in casa, isolarla, fare in modo che lei abbia bisogno di lui per qualsiasi cosa, cioè avere il potere assoluto su di lei.

Come difendersi?

Ci vuole una solida autostima e la consapevolezza che il proprio lavoro è garanzia di indipendenza e libertà.

Se, come spesso accade, l’autostima e la consapevolezza di sé sono carenti, bisogna costruirle con percorsi idonei.

Non bisogna cercare ed accontentarsi di un lavoretto giusto per contribuire alle spese di famiglia.

Nel proprio lavoro bisogna cercare la propria realizzazione, puntare al massimo anche sotto il profilo retributivo, avere ben chiaro il valore della propria indipendenza da chiunque, anche (soprattutto) da lui.

Difendersi dalla violenza economica potrebbe sembrare facile, ma si tratta pur sempre di combattere per vedere rispettati i propri diritti in un posto, la coppia, dove si dovrebbe poter deporre l’armatura e rilassarsi.

In sintesi, per difendersi dalla violenza economica è opportuno:

  • avere una solida autostima e sentire il proprio diritto all’indipendenza economica;
  • essere vigili e critiche rispetto a ciò che “lui” dice e fa;
  • mantenere sempre i contatti con la propria rete amicale e parentale;
  • investire sulla propria formazione e coinvolgere “lui”: un ottimo modo per verificare il suo comportamento;
  • se dopo aver verificato ci si rende conto che lui boicotta, aprire una “vertenza” per avviare a soluzione il problema, anche tramite un percorso terapeutico di coppia.
Offerta
Manuale per ragazze rivoluzionarie. Perché il femminismo ci rende felici di Giulia Blasi
Un libro di approfondimento sui meccanismi e le trappole del patriarcato, attraverso cui comprendere che non c'è un motivo al mondo per accettare passivamente una realtà da subordinate, ma anzi buttare all'aria il tavolo del patriarcato e conquistare la libertà che, nonostante le apparenze, è per le donne e per gli uomini.

Difendersi dalla violenza fisica

La violenza domestica fisica se prolungata nel tempo configura il reato di maltrattamento, mentre il singolo episodio, a seconda della gravità, può essere inquadrato come percosse o lesioni, con eventuali aggravanti, tutti perseguibili penalmente.

È probabilmente il tipo di violenza domestica sulle donne più comune, quello che non si può equivocare, eppure forse quello più difficile da troncare.

Come mai?

A volte a scegliere un partner violento è una donna che ha vissuto la medesima situazione nella famiglia d’origine. Ha introiettato quel tipo di “normalità” in cui ti cade qualcosa per terra e ti becchi un ceffone.

Altre volte invece l’escalation parte da uno schiaffo durante un litigio, seguito da pentimenti, regali, giuramenti che mai più lui farà del male all’amore della sua vita…fino alla prossima volta.

Lei non lo lascia perché ha paura delle sue reazioni, ma anche perché spera – erroneamente – di poterlo cambiare. Perché lo ama e magari ci sono figli che hanno bisogno del padre vicino.

Lui le dice che il suo scoppio di violenza è colpa sua e lei ci crede.

Allora si sforza di evitare qualsiasi cosa possa provocarlo ed irritarlo, e si convince che è davvero una cattiva compagna, che sbaglia di continuo.

Soprattutto non dice niente a nessuno.

Usa i cosmetici per coprire i lividi e sta zitta. Se qualcuno si accorge di un suo ematoma è pronta a dire che ha sbattuto da qualche parte.

Meno facile se finisce in ospedale, e a donne in questa situazione succede molto spesso. Lesioni, fratture, ustioni non si contano e il personale di pronto soccorso incoraggia a presentare denuncia.

L’elemento che bisogna tener presente è la sudditanza psicologica che si instaura: difendersi vuol dire prima di tutto comprendere i meccanismi psicologici che la rendono possibile.

La decisione di non subire più deve partire da lei. E la consapevolezza dei danni che i figli riporteranno aiuta.

Difendersi da un bruto in casa non è facile. È opportuno chiedere aiuto al 1522, telefono o sito (www.1522.it) dove rispondono operatrici formate e grande esperienza, o alle forze dell’ordine durante gli episodi, per allontanare il violento o trovare rifugio altrove prima che sia troppo tardi.

In linea di principio,  prima si interrompe l’escalation violenta meglio è. Ad ogni mancata reazione infatti si rinforza l’ego di lui e la sua immagine potente.

Per questo è importante stabilire i propri limiti nella relazione ed essere sicure e ferme sulle proprie posizioni: mai uno schiaffo, e se arriva lo lascio, perché io non sono il tuo punching ball, perché l’amore è rispetto e condivisione, non paura e dolore.

In sintesi, per difendersi dalla violenza fisica è opportuno:

  • avere limiti chiari su ciò che si è disposte ad accettare nella relazione e porre dei paletti, come ad esempio la regola “mai uno schiaffo”;
  • se nonostante tutto si continua la relazione, denunciare al primo episodio dimostrabile che configura il reato di percosse o lesioni;
  •  avere chiaro che è necessario spezzare l’escalation della violenza e ancor di più la relazione stessa;
  • se ci sono bambini, essere consapevoli di avere la responsabilità di salvarli dalla violenza assistita e dalle nefaste conseguenze che questa comporta;
  • confrontarsi, cercare aiuto nella rete amicale e parentale: l’unica vergogna è non mettersi al sicuro;
  • denunciare alle forze dell’ordine, rivolgersi al 1522;
  • avere molto chiaro che in genere la violenza fisica domestica tende ad aggravarsi e quindi va interrotta prima possibile.

 

Come difendersi dalla violenza sessuale

Quando si può parlare di violenza sessuale in ambito domestico?

Anche qui si distingue fra molestie, tentato stupro e stupro, per indicare qualsiasi comportamento che induca la donna a sentirsi offesa, ferita, impaurita e le tolga il controllo sui contatti intimi.

La forma più offensiva e lesiva di violenza domestica sulle donne è sicuramente questa. Per difendersi ancora una volta è necessario capire che il maschio non è il signore e padrone che va accontentato in qualsiasi modo e a qualsiasi costo.

Ho sentito con le mie orecchie una donna dell’età di mia madre, nata quindi negli anni ’30 del secolo scorso, affermare con orgoglio che il marito portava a casa altre donne e poteva farlo perché comandava lui, e lei serviva entrambi. L’orgoglio derivava dall’aver creato una famiglia “accogliente”.

Ricordiamo che secondo i dati Istat il 13,6% delle donne che ha subito violenza sessuale ha denunciato il partner, e nel 41% dei casi la violenza subita è stata causa della rottura della relazione. È da sottolineare che non tutte le donne presentano denuncia.

Difendersi è possibile combattendo per affermare se stesse nella coppia come elemento di pari potere ed importanza, se si vuole continuare la relazione.

Ancora una volta dobbiamo partire da noi stesse e stabilire con chiarezza cosa siamo disposte ad accettare nel rapporto e soprattutto che tipo di relazione desideriamo.

Per esempio può succedere che lei stia facendo qualcosa in cucina e che lui la prenda di sorpresa manifestandole tutta la potenza del suo desiderio: magari all’inizio lei potrebbe sentirsi lusingata ma non ha modo di opporsi, e quello che poteva essere un momento di coppia resta un momento soltanto di lui che lei ha subito. Questa è violenza sessuale.

Per esempio può succedere che al mattino appena svegli lui voglia e lei no, e vorrebbe magari rinviare, ma lui può bloccarla col semplice peso e forzarla. Questa è violenza sessuale.

Per esempio può succedere che lui sia uscito con gli amici e lei sia andata a dormire, e quando lui torna, anche se sono le 4 del mattino, appena si mette a letto inizia a far l’amore con lei anche se sta dormendo. Questa è violenza sessuale.

La violenza sessuale è immaginata spesso come un atto estremo a termine di un violento litigio, o un comportamento abituale in casi di dipendenza da sostanze.

In realtà va oltre i casi evidenti, è più frequente di quel che si pensa e può essere assai più sfumata.

La domanda quindi è: vuoi davvero avere una relazione con un uomo che pensa di avere il diritto di fare sesso con te quando e come vuole?

Quello che vuoi tu quanto conta?

Che tipo di relazione desideri avere, cosa è importante per te?

Se la relazione che desideri è basata sul rispetto e l’ascolto reciproci non puoi continuare a stare con un uomo che pensa di avere ogni diritto su di te solo perché state insieme o siete sposati.

Difendersi è possibile, ma bisogna farlo subito.

Al primo episodio.

Un uomo che pensa di avere ogni diritto su di te va fermato immediatamente. Parlagli a cuore aperto e fagli capire quanto tu ti senta umiliata dal suo comportamento, che è fra l’altro un reato penale, che la tua idea di relazione non è questa.

Si può quindi iniziare un dialogo oppure separarsi.

Quello che possiamo fare in quanto donne e madri:

  • educare i figli al rispetto ed alla vera parità, anche e soprattutto quando questo significa mettere in discussione noi stesse;
  • dialogare con i figli a proposito dell’amore e delle relazioni, spingendoli ad avere chiarezza di intenti, obiettivi e comportamenti;
  • avviare con i figli un discorso critico sul patriarcato, su ciò che costringe il maschio a fare il despota e la femmina la remissiva, per fargli capire quanto siano deleteri tali stereotipi per la propria libertà e felicità;
  • confrontarsi con le reti amicali e parentali su questi obiettivi educativi e cercare di diffonderli il più possibile.

Altro tipo di intervento per contrastare la violenza domestica sulle donne è quello che coinvolge la società nel suo complesso in direzione della parità e della trasformazione in positivo delle immagini di uomo e donna:

  • con interventi culturali attraverso interventi sulla pubblica opinione;
  • con interventi educativi e scolastici per migliorare la capacità degli operatori di comprendere i minori in difficoltà e gestire queste difficili situazioni;
  • con interventi formativi sul operatori pubblici e del privato sociale perché siano realmente in grado di accogliere e gestire i casi di donne e minori in difficoltà;
  • intervenire con efficacia sulla prevenzione della recidiva e sui percorsi di riabilitazione emotiva di uomini violenti;
  • intervenire sui mass media e su agenzie di pubblicità per migliorare la comunicazione, fin troppo spesso contrassegnata da stereotipi e sessismo.

In realtà, al momento le donne in difficoltà per violenza domestica possono contare su se stesse, sulla rete antiviolenza delle donne, sul 1522 e sulle proprie reti amicali e parentali. E, naturalmente, su se stesse.

Ed è quello che veramente serve.